Filtri
Scegli una categoria
- Acini Rari
- BlendNews
- Buongiorno in Vigna
- Degustazioni Artificiali
- Diario di un sommelier
- Editoriale
- Il Vino in una stanza
- In legge veritas
- InternazionalMente
- Itinerari diVini
- Le storie di Wine in Venice
- Provato per Voi
- Salotto diVino
- Speciale Vinòforum
- Suggestioni di Vino
- The Voice of Blogger
- WineKult
7 Febbraio, 2024
Venezia sorprendente
VENEZIA SORPRENDENTE
Tutti noi siamo stati almeno una volta a Venezia ma Venissa è una realtà a parte tutta da scoprire. Si trova a Mazzorbo, isola che assieme a Torcello e Burano rappresentano la Venezia Nativa. Siamo in un arcipelago di natura, colori, sapori, storia ed arte. In poche parole, siamo a Venezia senza esserlo! Qui le folle di turisti, il rumore delle ruote delle pesanti valigie sui gradini dei ponti e il chiasso delle scolaresche nei piccoli e angusti vicoli del centro saranno solo un ricordo. A pochi minuti a piedi dalla fermata del vaporetto di Burano, appena al di là del ponte che connette le isole di Burano e Mazzorbo, si trova la Tenuta Venissa. Non resisto a tornarci cogliendo al balzo l’occasione di un private tasting organizzato nell’ambito di Wine in Venice 2024.
VIGNE IN CITTA’
Oggi quasi nessuno sa che Venezia ebbe in passato un’importante tradizione vitivinicola: pensate che in Piazza San Marco fino al 1100 c’era una vigna. Le prime tracce della viticoltura risalgono a oltre 2500 anni fa e le isole della laguna sono sempre state coltivate, per consentire un minimo di autosufficienza in una laguna dove il 92% della superficie è acqua- Persino le piazze venivano coltivate, da questo infatti deriva il nome “Campo”.
Gli ordini religiosi curavano e preservavano la viticoltura in laguna nelle loro proprietà insieme ai contadini di queste isole mentre i mercanti veneziani ne traevano beneficio economico durante l’apice dello splendore della Repubblica di Venezia tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo.
LA SCOPERTA INASPETTATA
Il merito dell’inizio delle ricerche storiche e agronomiche della vigna veneziana si deve a Gianluca Bisol, che per primo notò un piccolo vigneto a Torcello, di fronte alla basilica di Santa Maria Assunta, la più antica Chiesa di Venezia. Scoprì, grazie ad un team di agronomi ed esperti conoscitori della laguna, la grande tradizione vitivinicola delle isole di Venezia che hanno ospitato da sempre molti vigneti, fino al 1966 anno in cui l’acqua alta distrusse le vigne e sommergendo tutto fece perdere le tracce di questa tradizione millenaria. Le ricerche hanno portato alla scoperta di 88 piante sopravvissute. Il vitigno autoctono scoperto rispondeva al DNA della Dorona di Venezia dichiarata estinta da tempo. La Dorona appartiene alla famiglia della Garganega e per secoli ha sfidato il sale e l’acqua alta, adattandosi alle condizioni tipiche della laguna. Si è partiti con la reintroduzione nel novero delle specie autoctone di questo vitigno e dopo un iter burocratico lungo e complicato la Dorona ha riconquistato la sua posizione a tutti gli effetti. Insieme al vitigno gli studi hanno portato alla luce gli antichi metodi di produzione vinicola tipici della tradizione, che prevedevano lunghe macerazioni sulle bucce donando alla Dorona grande longevità oltre che il corpo di un vino rosso.
IL SOGNO DIVENTA REALTA’
Gianluca Bisol è riuscito a concretizzare il suo sogno ovvero quello di far rinascere la tradizione vinicola veneziana. Ha individuato una Tenuta nell’isola Mazzorbo il suo “clos” per dirlo alla francese, circondato da mura medievali e con un campanile trecentesco all’interno della vigna. La proprietà, circondata dall’acqua su tre dei quattro lati, è attraversata da un canale e ospita una peschiera. Nonostante il rischio di possibili acque alte che potrebbero distruggere la vigna, Gianluca Bisol decise di ripiantare l’antico vitigno Dorona. Nel 2011 nasce anche il Rosso Venissa, prodotto da una vigna di Merlot e Cabernet Sauvignon nella vicina isola di Santa Cristina, dallo stesso vigneto con l’annata 2013 nasce anche il Rosso Venusa.
SANTA CRISTINA
L’isola di Santa Cristina è attualmente di proprietà della famiglia Swarovski, quasi irraggiungibile se non dalle persone locali, esperte conoscitrici dei canali lagunari. Accessibile solamente in alcuni orari del giorno e in accordo con il ritmo delle maree per non rimanere incagliati, l’isola di Santa Cristina è selvaggia e immersa nella laguna nord. Ospita orti, frutteti e i vigneti di Merlot e Cabernet Sauvignon. Le piante hanno tra i quaranta e sessant’anni e vivono in un equilibrio e simbiosi unici in un posto incontaminato. Si tratta di poco meno di tre ettari con certi biotipi di queste uve rosse che negli anni si sono adattati alla vita in laguna e la produzione è sempre molto limitata, ridotta e orientata all’alta qualità anche in questo caso grazie al terroir lagunare estremo.
Una vera e propria viticoltura eroica, dove le uve vengono trasportate in barca in terraferma per raggiungere poi una cantina della famiglia Bisol nei Colli Euganei per essere vinificate. La produzione è limitatissima: poco più di tremila le bottiglie da mezzo litro per la linea Venissa e poche di più per la linea Venusa. VENISSA L’ESPERIENZA Sospesi nel tempo e nello spazio, avvolti da una leggera foschia e dal freddo pungente, circondati dall’acqua che attutisce i rumori, dopo aver doverosamente fatto un giro nella vigna per ascoltare le spiegazioni di questo ambizioso progetto, entriamo in un’accogliente e rustica sala con le vetrate di fronte alla vigna e al campanile trecentesco in restauro, dove ci immergiamo nei colori e nei sapori di questi vini particolari. GLI ASSAGGI Venusa 2020 Veneto IGT Venissa 2018 Veneto IGT Venissa 2015 Veneto IGT tutte da uva Dorona Generalizzando nei tre calici ho trovato caratteristiche comuni come sentori di frutta disidratata, erbe officinali, frutta secca, scorza d’agrume, miele, con una leggera spezia dolce. In bocca la mineralità e sapidità fanno da padrone con una buona freschezza ed una discreta acidità accompagnate da una delicata trama tannica e da una lunga persistenza. Venusa Rosso 2018 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) Venissa Rosso 2016 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) LA SALVAGUARDIA DEGLI ANTICHI MESTIERI Non sfugge allo sguardo la bellezza delle etichette studiate da Carlo Moretti (maestro vetraio di Murano) per non disperdere il patrimonio artigianale veneziano. Una foglia d’oro per Venusa Bianco e di rame per Venusa Rosso che sono prodotte e battute a mano una ad una dall’incredibile lavoro artigiano della famiglia Berta Battiloro, che batte ancora a mano le lamine rendendole appunto foglie impalpabili come secoli fa. La famiglia di decoratori Albertini e Spizzamonte creano una diversa decorazione di anno in anno, che viene letteralmente inglobata nella bottiglia grazia alla ricottura nei forni di Murano. Ogni bottiglia è poi incisa con un numero consecutivo oltre a quello delle bottiglie prodotte nell’annata proprio come succede per le litografie rare. Se vi ho incuriosito e decidete di scappare dalla pazza folla fermatevi nel resort e prenotate il celebre ristorante Venissa. Una stella Michelin dal 2012 e una stella Verde, ora regno indiscusso di Francesco Brutto e Chiara Pavan, compagni di mestiere oltre che di vita e creatori amorevoli di una cucina dove mare e terra sono espresse al massimo. Esperienza indimenticabile. Ma questa è un’altra storia… Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
Leggi
Una vera e propria viticoltura eroica, dove le uve vengono trasportate in barca in terraferma per raggiungere poi una cantina della famiglia Bisol nei Colli Euganei per essere vinificate. La produzione è limitatissima: poco più di tremila le bottiglie da mezzo litro per la linea Venissa e poche di più per la linea Venusa. VENISSA L’ESPERIENZA Sospesi nel tempo e nello spazio, avvolti da una leggera foschia e dal freddo pungente, circondati dall’acqua che attutisce i rumori, dopo aver doverosamente fatto un giro nella vigna per ascoltare le spiegazioni di questo ambizioso progetto, entriamo in un’accogliente e rustica sala con le vetrate di fronte alla vigna e al campanile trecentesco in restauro, dove ci immergiamo nei colori e nei sapori di questi vini particolari. GLI ASSAGGI Venusa 2020 Veneto IGT Venissa 2018 Veneto IGT Venissa 2015 Veneto IGT tutte da uva Dorona Generalizzando nei tre calici ho trovato caratteristiche comuni come sentori di frutta disidratata, erbe officinali, frutta secca, scorza d’agrume, miele, con una leggera spezia dolce. In bocca la mineralità e sapidità fanno da padrone con una buona freschezza ed una discreta acidità accompagnate da una delicata trama tannica e da una lunga persistenza. Venusa Rosso 2018 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) Venissa Rosso 2016 Rosso IGT (Merlot 80% + Cabernet Sauvignon) LA SALVAGUARDIA DEGLI ANTICHI MESTIERI Non sfugge allo sguardo la bellezza delle etichette studiate da Carlo Moretti (maestro vetraio di Murano) per non disperdere il patrimonio artigianale veneziano. Una foglia d’oro per Venusa Bianco e di rame per Venusa Rosso che sono prodotte e battute a mano una ad una dall’incredibile lavoro artigiano della famiglia Berta Battiloro, che batte ancora a mano le lamine rendendole appunto foglie impalpabili come secoli fa. La famiglia di decoratori Albertini e Spizzamonte creano una diversa decorazione di anno in anno, che viene letteralmente inglobata nella bottiglia grazia alla ricottura nei forni di Murano. Ogni bottiglia è poi incisa con un numero consecutivo oltre a quello delle bottiglie prodotte nell’annata proprio come succede per le litografie rare. Se vi ho incuriosito e decidete di scappare dalla pazza folla fermatevi nel resort e prenotate il celebre ristorante Venissa. Una stella Michelin dal 2012 e una stella Verde, ora regno indiscusso di Francesco Brutto e Chiara Pavan, compagni di mestiere oltre che di vita e creatori amorevoli di una cucina dove mare e terra sono espresse al massimo. Esperienza indimenticabile. Ma questa è un’altra storia… Sono Claudia Riva di Sanseverino. Assaggio, degusto, scopro, curioso, provo e condivido. Seguimi su Instagram @crivads
15 Dicembre, 2023
Castello di Querceto: oasi di qualità sostenibile nel cuore del Chianti Classico
Peppetronio ci racconta di Castello di Querceto: oasi di qualità sostenibile nel cuore del Chianti Classico
Leggi
7 Dicembre, 2023
Corte Canella: Gloria, figlia di un sogno
Dico sempre che ero figlia di un sogno che non era mio, era del mio papà. Ora tra le mani ho qualcosa di prezioso: un progetto e qualcuno che crede in me!
Leggi
1 Dicembre, 2023
San Masseo: suonate, qualcuno vi accoglie
Incontro Michele Badino, un monaco che vive con altri 4 fratelli al Monastero di Bose ad Assisi e, tra le altre cose, è un vignaiolo.
Leggi
24 Novembre, 2023
Fattoria di Gaglierano: Auà, sint a mè
Ogni dialetto ha una espressione per catturare l’attenzione. Non è un intercalare. Semmai il preludio che si inserisce all’inizio della frase per assicurarsi che ciò che si sta per dire o fare abbia il giusto livello di coinvolgimento.
In Veneto, dove si è molto attenti a non essere prevaricatori si dice “ascolta”. Questo lo so bene perché non faccio che prendere in giro un mio collega, veneto appunto, al quale conto tutte le volte che me lo dice. A Roma c’è il classico e rude “aò”. Diventa rude perché in genere si aggiunge “ ‘a coso”, “maschio”. Oppure per rafforzare “aò, senti’mpò”.
A Napoli c’è il classico “uè”.
In Abruzzo si usa “Auà”. “Auà, sint a mè” è come dire, “ascolta, fa come ti dico io”. Ascoltami insomma. Auà è un modo per affermare la propria presenza nel mondo. Esisto. Sono, dunque voglio affermarmi. Ma voglio farlo da abruzzese. Con le origini della terra. Con il Gran Sasso e le colline che degradano fino al mare. La grande montagna che divide e unisce. Le terre, le pecore, il mare. E il vino. Già il vino. Quello abruzzese vero e genuino. Come sono tutte le cose in questa terra. Basta si rispettino le tradizioni dei propri avi. Che non potevano che essere contadini o pastori. Auà. È l’inizio dei discorsi ed è l’inizio dell’avventura enoica della Fattoria di Gaglierano. La concretizzazione di un sogno identitario che trova la sua rappresentazione in un marchio. Auà non è un vino ma tre. I tre vini che rappresentano l’Abruzzo nelle sue tradizioni: il Montepulciano, il Pecorino, il Cerasuolo. Incontro quasi per caso Claudio ad una fiera. È con sua figlia Sara e Francesco, il commerciale dell’azienda. Non è la solita chiacchierata. La sensazione che ho è di essere in famiglia. Non so spiegarlo compiutamente ma non mi sento distante o poco a mio agio. Claudio mi tratta come uno di famiglia. Come se mi conoscesse da tempo. Quando mi parla dei suoi vini, dei salumi che produce, della sua azienda, è come se, conoscendomi da tempo, mi dice le cose come stanno.
Il ritorno alle origini e la voglia di rappresentare a pieno le tradizioni non è uno slogan qualsiasi. È convinzione piena. Vedi questo Cerasuolo? Io lo faccio in legno. Perché prima in Abruzzo, mica c’erano i serbatoi in acciaio o in cemento. Il vino si metteva a riposare nelle botti. Quelle c’erano. Già, quelle c’erano. Ci potevano essere le damigiane o il coccio. Così come le botti. Farle, mica era un problema per contadini e pastori.
Ecco, Claudio è così. Schietto. Ma anche sognatore. Fattoria Gaglierano nasce dal nulla. Claudio viveva a Pescara con la moglie e i due figli. Era il 2006 quando l’idea di avere una casa in campagna, sulle colline alle spalle di Pescara prese più forma. La casa l’aveva in mente. La vita che voleva era dentro di lui. Un ritorno al passato. A quella vita in un luogo incantato. La casa voleva progettarla e costruirla lui. Anche se era difficile trasferire questo sogno alla famiglia sempre vissuto in città. Difficile e forse traumatico per i figli spostarsi dalla città con il mare ad un tiro di schioppo alla campagna per uscire dalla quale solo gli autobus potevano essere di supporto. Vaglielo a spiegare a dei ragazzi che devono andare a vivere in campagna. I 20 km che separano Città Sant’Angelo da Pescara sono una enormità. Una vetta insormontabile più alta dei 2.912 metri della cima più alta del Gran Sasso (Corno Grande). Città Sant’Angelo, dove sorge la Fattoria Gaglierano, sarà pure un borgo meraviglioso, ricco di storia e classificato da Forbes tra i 10 migliori posti al mondo dove andare a vivere, ma per gli altri. Non certo per una teenager in piena tempesta ormonale. Ma c’è Claudio in questa storia. Che non solo sogna, coinvolge. Coinvolge la moglie Simona e coinvolge i figli. Il suo è un progetto che non vuole solo per lui ma per la famiglia intera. Qualcosa che resista al tempo e riporti indietro nel tempo. Ai suoi ricordi di bambino. Di quando tutto era semplice e non contaminato.
Ecco, proprio la contaminazione credo sia stato e sia l’elemento della vita di Claudio. Tanto da fondare e dirigere con Simona una ditta specializzata in consulenza ambientale. La sua, la loro attività principale. 15 ettari di cui 5 vitati. Claudio fa impiantare le nuove vigne oltre quelle già presenti. Nel 2009, la prima vendemmia. Per diletto più che altro. Io il vino me lo ricordo in una certa maniera e così lo voglio. Così inizia la ricerca di enologi che in linea con la sua filosofia di vini naturali, senza chimica. La ricerca di un prodotto che potesse rispecchiare la realtà contadina dalla quale proveniva. Che gli ricordava quando era bambino. Fattoria Gaglierano è una piccola oasi. Un casale ristrutturato che serve per abitazione della famiglia. La cantina. Gli ulivi, il bosco, le pecore, gli animali. Coltiviamo tutto noi. Qui ci abitano anche i nostri operai. Un ragazzo dal Marocco e una coppia moldava. C’è bisogno di persone cosi perché siamo impegnati h24. Persone fidate. Del vino in bottiglia all’inizio non se ne parlava proprio. Non era una priorità. La campagna, le coltivazioni, il bestiame. L’idillio insomma. Occorre aspettare il 2015 per vedere la prima bottiglia, utile per capire che il vino veniva bene, con un certo criterio. Pochi esperimenti e tanta passione. Che però non basta se ti manca il tempo. Claudio corre in Fattoria quando può. Il suo lavoro, quello che condivide con Simona, lo porta a viaggiare spesso. Tanti impegni e poco tempo per fare le cose. Relegate al fine settimana quando, per riposarsi va sullo scavatore, nella terra, tra le vigne. Vederlo fermo è impossibile. Claudio si affida nel tempo a più persone. Alti e bassi come è normale in questi casi. Se non altro trova continuità nella parte agronomica ed enologica dove ci sono i due Nicola, uno consulente insieme l’altro forte del bagaglio culturale prodotto della scuola enologica in Moldavia. La vigna sembra una vigna dell’URSS. Precisa e pulita. C’è tanta attenzione ai dettagli. È la fortuna di avere persone attente. Magari siamo stati sfortunati in altro ma non sulle persone. Nicola il moldavo ha responsabilità assoluta della cantina. Nicola l’enologo da i suggerimenti. Claudio mette l’ultima parola. È suo il sogno. Sono suoi i ricordi. Ricordi che ora sono qualcosa di concreto, realizzati, fisici. Qualcosa di così bello che non è possibile tenere solo per se. Il panorama qui è mozzafiato. Mi dispiacerebbe se Fattoria diventasse un luogo di passaggio. Mi piace confrontarmi con le persone. Quando vieni qui vieni a casa. Entri dentro casa nostra. Le persone stanno cosi bene che non se ne vogliono andare. Casa. Casa di tutti. L’accoglienza è qualcosa che devi avere dentro e ce l’hai se intorno a te c’è la pace e la felicità. In questo angolo di Abruzzo sconosciuto anche ai locali. Quando vieni qui non sembra di stare in Abruzzo. È talmente sconosciuto. È talmente difficile da arrivarci. È talmente nascosto che siamo un pò un angolo segreto e incontaminato. Ci fa gioco certo ma dobbiamo investire per comunicarlo. Già. Perché sarà pure vero che vivi in simbiosi con l’angolo di paradiso, ma se quella è la tua vita, quella che hai scelto, hai bisogno di sostentamento. Che solo attraverso quanto produci puoi avere. Produrre e produrre bene, nel rispetto della natura e delle tradizioni non basta. Non è sufficiente. Serve farlo sapere. Altrimenti sei nel limbo e rimani, da solo, nel tuo angolo di paradiso. Ci sono ancora tante cose da fare. Nella sala degustazioni ci mangiamo gli arrosticini noi e quando arrivano gli ospiti, anche loro. Facciamo gli “aperitivi nella vigna eroica” perché siamo con vigne in pendenze del 30%. Claudio è appassionato di cucina e quando arrivano gli ospiti si mette alla brace. Con semplicità. Senza fronzoli. Per gestire una azienda serve anche altro. Continuità certo ma anche notorietà. Farla conoscere. Come se l’identità, abbia bisogno di affermarsi. Auà. La voglia di gridarlo al mondo così che il mondo l’ascolti. Troppo intenso è l’amore per questa terra da volerlo condividere. Non è possibile che sia per pochi. Il paradiso va condiviso. Accanto ai tre Auà allora ci sono i pensieri, i progetti per diffondere la conoscenza di questo paradiso.
Le 15.000 bottiglie di Auà Pecorino, Cerasuolo e Montepulciano non bastano. Commercialmente non ha senso produrne di più così che il resto dell’uva viene trasformata in vino e venduta nelle bag in box. L’idea però è quella di trasformare le box in bottiglia così da commercializzarle magari all’estero. Di questo si discute in famiglia. Capirne i costi. Capirne l’opportunità. L’entusiasmo che si scontra con la tradizione e il non fare mai il passo più lungo della gamba.
Ma c’è anche dell’altro. Abbiamo piantato 0.6 ettari di Pecorino per fare metodo classico. Ma ci vorranno almeno 4 anni. Le riserve di Montepulciano arriveranno. Dalla vigna “Terre dei Vestini” che è l’associazione con la quale facciamo gruppo per arrivare alla DOCG Montepulciano. I tre Auà che ho assaggiato sono delle vere “chicche”. La genuinità c’è e traspare. Non ho mai assaggiato un Cerasuolo migliore di questo tanto che la prima espressione che mi è venuta in mente è stata l’abruzzese “frechete”! (Per chi non lo sapesse è una espressione di stupore che in altre regioni assume forme diverse).
Sul mio blog Instagram la recensione completa.
Pecorino e Montepulciano sono identitari sul serio. La passione è fisicamente dentro i vini. Ogni cosa che ho ricevuto in dono durante la chiacchierata, le tradizioni, la storia, la natura, l’Abruzzo, è qui dentro. Auà, sint a mè, Quànde t’ à’ da ‘mbrijacà’, ‘mbrijàchete de vine bbòne. Ecco, senza ubriacarsi ma bevendo responsabilmente, quando vi verrà in mente di bere vino buono, quello della Fattoria di Gaglierano farà al caso vostro. Con la speranza, con questo articolo di avervi dato l’opportunità di sentire nel calice quanto anche io ho sentito. Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969 PS La recensione di Auà Cerasuolo la trovate sul mio blog qui.
Leggi
In Veneto, dove si è molto attenti a non essere prevaricatori si dice “ascolta”. Questo lo so bene perché non faccio che prendere in giro un mio collega, veneto appunto, al quale conto tutte le volte che me lo dice. A Roma c’è il classico e rude “aò”. Diventa rude perché in genere si aggiunge “ ‘a coso”, “maschio”. Oppure per rafforzare “aò, senti’mpò”.
A Napoli c’è il classico “uè”.
In Abruzzo si usa “Auà”. “Auà, sint a mè” è come dire, “ascolta, fa come ti dico io”. Ascoltami insomma. Auà è un modo per affermare la propria presenza nel mondo. Esisto. Sono, dunque voglio affermarmi. Ma voglio farlo da abruzzese. Con le origini della terra. Con il Gran Sasso e le colline che degradano fino al mare. La grande montagna che divide e unisce. Le terre, le pecore, il mare. E il vino. Già il vino. Quello abruzzese vero e genuino. Come sono tutte le cose in questa terra. Basta si rispettino le tradizioni dei propri avi. Che non potevano che essere contadini o pastori. Auà. È l’inizio dei discorsi ed è l’inizio dell’avventura enoica della Fattoria di Gaglierano. La concretizzazione di un sogno identitario che trova la sua rappresentazione in un marchio. Auà non è un vino ma tre. I tre vini che rappresentano l’Abruzzo nelle sue tradizioni: il Montepulciano, il Pecorino, il Cerasuolo. Incontro quasi per caso Claudio ad una fiera. È con sua figlia Sara e Francesco, il commerciale dell’azienda. Non è la solita chiacchierata. La sensazione che ho è di essere in famiglia. Non so spiegarlo compiutamente ma non mi sento distante o poco a mio agio. Claudio mi tratta come uno di famiglia. Come se mi conoscesse da tempo. Quando mi parla dei suoi vini, dei salumi che produce, della sua azienda, è come se, conoscendomi da tempo, mi dice le cose come stanno.
Il ritorno alle origini e la voglia di rappresentare a pieno le tradizioni non è uno slogan qualsiasi. È convinzione piena. Vedi questo Cerasuolo? Io lo faccio in legno. Perché prima in Abruzzo, mica c’erano i serbatoi in acciaio o in cemento. Il vino si metteva a riposare nelle botti. Quelle c’erano. Già, quelle c’erano. Ci potevano essere le damigiane o il coccio. Così come le botti. Farle, mica era un problema per contadini e pastori.
Ecco, Claudio è così. Schietto. Ma anche sognatore. Fattoria Gaglierano nasce dal nulla. Claudio viveva a Pescara con la moglie e i due figli. Era il 2006 quando l’idea di avere una casa in campagna, sulle colline alle spalle di Pescara prese più forma. La casa l’aveva in mente. La vita che voleva era dentro di lui. Un ritorno al passato. A quella vita in un luogo incantato. La casa voleva progettarla e costruirla lui. Anche se era difficile trasferire questo sogno alla famiglia sempre vissuto in città. Difficile e forse traumatico per i figli spostarsi dalla città con il mare ad un tiro di schioppo alla campagna per uscire dalla quale solo gli autobus potevano essere di supporto. Vaglielo a spiegare a dei ragazzi che devono andare a vivere in campagna. I 20 km che separano Città Sant’Angelo da Pescara sono una enormità. Una vetta insormontabile più alta dei 2.912 metri della cima più alta del Gran Sasso (Corno Grande). Città Sant’Angelo, dove sorge la Fattoria Gaglierano, sarà pure un borgo meraviglioso, ricco di storia e classificato da Forbes tra i 10 migliori posti al mondo dove andare a vivere, ma per gli altri. Non certo per una teenager in piena tempesta ormonale. Ma c’è Claudio in questa storia. Che non solo sogna, coinvolge. Coinvolge la moglie Simona e coinvolge i figli. Il suo è un progetto che non vuole solo per lui ma per la famiglia intera. Qualcosa che resista al tempo e riporti indietro nel tempo. Ai suoi ricordi di bambino. Di quando tutto era semplice e non contaminato.
Ecco, proprio la contaminazione credo sia stato e sia l’elemento della vita di Claudio. Tanto da fondare e dirigere con Simona una ditta specializzata in consulenza ambientale. La sua, la loro attività principale. 15 ettari di cui 5 vitati. Claudio fa impiantare le nuove vigne oltre quelle già presenti. Nel 2009, la prima vendemmia. Per diletto più che altro. Io il vino me lo ricordo in una certa maniera e così lo voglio. Così inizia la ricerca di enologi che in linea con la sua filosofia di vini naturali, senza chimica. La ricerca di un prodotto che potesse rispecchiare la realtà contadina dalla quale proveniva. Che gli ricordava quando era bambino. Fattoria Gaglierano è una piccola oasi. Un casale ristrutturato che serve per abitazione della famiglia. La cantina. Gli ulivi, il bosco, le pecore, gli animali. Coltiviamo tutto noi. Qui ci abitano anche i nostri operai. Un ragazzo dal Marocco e una coppia moldava. C’è bisogno di persone cosi perché siamo impegnati h24. Persone fidate. Del vino in bottiglia all’inizio non se ne parlava proprio. Non era una priorità. La campagna, le coltivazioni, il bestiame. L’idillio insomma. Occorre aspettare il 2015 per vedere la prima bottiglia, utile per capire che il vino veniva bene, con un certo criterio. Pochi esperimenti e tanta passione. Che però non basta se ti manca il tempo. Claudio corre in Fattoria quando può. Il suo lavoro, quello che condivide con Simona, lo porta a viaggiare spesso. Tanti impegni e poco tempo per fare le cose. Relegate al fine settimana quando, per riposarsi va sullo scavatore, nella terra, tra le vigne. Vederlo fermo è impossibile. Claudio si affida nel tempo a più persone. Alti e bassi come è normale in questi casi. Se non altro trova continuità nella parte agronomica ed enologica dove ci sono i due Nicola, uno consulente insieme l’altro forte del bagaglio culturale prodotto della scuola enologica in Moldavia. La vigna sembra una vigna dell’URSS. Precisa e pulita. C’è tanta attenzione ai dettagli. È la fortuna di avere persone attente. Magari siamo stati sfortunati in altro ma non sulle persone. Nicola il moldavo ha responsabilità assoluta della cantina. Nicola l’enologo da i suggerimenti. Claudio mette l’ultima parola. È suo il sogno. Sono suoi i ricordi. Ricordi che ora sono qualcosa di concreto, realizzati, fisici. Qualcosa di così bello che non è possibile tenere solo per se. Il panorama qui è mozzafiato. Mi dispiacerebbe se Fattoria diventasse un luogo di passaggio. Mi piace confrontarmi con le persone. Quando vieni qui vieni a casa. Entri dentro casa nostra. Le persone stanno cosi bene che non se ne vogliono andare. Casa. Casa di tutti. L’accoglienza è qualcosa che devi avere dentro e ce l’hai se intorno a te c’è la pace e la felicità. In questo angolo di Abruzzo sconosciuto anche ai locali. Quando vieni qui non sembra di stare in Abruzzo. È talmente sconosciuto. È talmente difficile da arrivarci. È talmente nascosto che siamo un pò un angolo segreto e incontaminato. Ci fa gioco certo ma dobbiamo investire per comunicarlo. Già. Perché sarà pure vero che vivi in simbiosi con l’angolo di paradiso, ma se quella è la tua vita, quella che hai scelto, hai bisogno di sostentamento. Che solo attraverso quanto produci puoi avere. Produrre e produrre bene, nel rispetto della natura e delle tradizioni non basta. Non è sufficiente. Serve farlo sapere. Altrimenti sei nel limbo e rimani, da solo, nel tuo angolo di paradiso. Ci sono ancora tante cose da fare. Nella sala degustazioni ci mangiamo gli arrosticini noi e quando arrivano gli ospiti, anche loro. Facciamo gli “aperitivi nella vigna eroica” perché siamo con vigne in pendenze del 30%. Claudio è appassionato di cucina e quando arrivano gli ospiti si mette alla brace. Con semplicità. Senza fronzoli. Per gestire una azienda serve anche altro. Continuità certo ma anche notorietà. Farla conoscere. Come se l’identità, abbia bisogno di affermarsi. Auà. La voglia di gridarlo al mondo così che il mondo l’ascolti. Troppo intenso è l’amore per questa terra da volerlo condividere. Non è possibile che sia per pochi. Il paradiso va condiviso. Accanto ai tre Auà allora ci sono i pensieri, i progetti per diffondere la conoscenza di questo paradiso.
Le 15.000 bottiglie di Auà Pecorino, Cerasuolo e Montepulciano non bastano. Commercialmente non ha senso produrne di più così che il resto dell’uva viene trasformata in vino e venduta nelle bag in box. L’idea però è quella di trasformare le box in bottiglia così da commercializzarle magari all’estero. Di questo si discute in famiglia. Capirne i costi. Capirne l’opportunità. L’entusiasmo che si scontra con la tradizione e il non fare mai il passo più lungo della gamba.
Ma c’è anche dell’altro. Abbiamo piantato 0.6 ettari di Pecorino per fare metodo classico. Ma ci vorranno almeno 4 anni. Le riserve di Montepulciano arriveranno. Dalla vigna “Terre dei Vestini” che è l’associazione con la quale facciamo gruppo per arrivare alla DOCG Montepulciano. I tre Auà che ho assaggiato sono delle vere “chicche”. La genuinità c’è e traspare. Non ho mai assaggiato un Cerasuolo migliore di questo tanto che la prima espressione che mi è venuta in mente è stata l’abruzzese “frechete”! (Per chi non lo sapesse è una espressione di stupore che in altre regioni assume forme diverse).
Sul mio blog Instagram la recensione completa.
Pecorino e Montepulciano sono identitari sul serio. La passione è fisicamente dentro i vini. Ogni cosa che ho ricevuto in dono durante la chiacchierata, le tradizioni, la storia, la natura, l’Abruzzo, è qui dentro. Auà, sint a mè, Quànde t’ à’ da ‘mbrijacà’, ‘mbrijàchete de vine bbòne. Ecco, senza ubriacarsi ma bevendo responsabilmente, quando vi verrà in mente di bere vino buono, quello della Fattoria di Gaglierano farà al caso vostro. Con la speranza, con questo articolo di avervi dato l’opportunità di sentire nel calice quanto anche io ho sentito. Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969 PS La recensione di Auà Cerasuolo la trovate sul mio blog qui.
17 Novembre, 2023
Solis Terrae: Massimo, un sogno oltre i numeri
Il commercialista è un pò come il dentista: ci vai quando ne hai bisogno ma, certamente, non ci vai con piacere. Numeri, calcoli, tasse. Poco altro. Ricordo solo un film nel quale si parla di commercialisti, “Anche i commercialisti hanno un’anima”. Renato Pozzetto, Enrico Montesano Sabrina Ferilli, Maurizio Di Battista per citare qualche attore. Peccato che di commercialisti, anche nel film, nemmeno l’ombra. Come se fosse una professione di poco appeal. Anche per il cinema.
Eppure il titolo era azzeccato poiché, alzi la mano chi pensa che i commercialisti, l’anima l’abbiano davvero. Dinanzi a numeri e tasse (da far pagare) non ci può essere alcuna anima. Ne tantomeno empatia o animo gentile. Puoi però trovarti di fronte una persona come Massimo Caucci, commercialista di professione, con l’aplomb del commercialista, con il linguaggio del commercialista, con lo studio da commercialista. Ma con un amore viscerale per la terra e la vigna. Le cose non nascono per caso. O forse è il caso che le genera.
Se abiti a Roma e hai un papà che per puro investimento acquista tanti ma tanti anni fa 20 ettari di terreno tra l’aeroporto di Fiumicino ed il mare, hai tutto il diritto di fregartene. Roma è una città particolare, dove si vive il quartiere e dove se sei di buona famiglia, non ti resta che vivere nei quartieri giusti tipo Roma nord frequentando solo le persone che i tuoi genitori ritengono giuste. Papà è mancato anni fa e da li è stato un susseguirsi di fatti. Ha creato la partenza però poi non ha inciso. Massimo è un commercialista con l’animo diverso. Non so come fosse da giovane, ma non me lo immagino a far la vita da pariolino che va al Gilda o al Piper (per chi non lo sapesse due delle discoteche più in voga a Roma anni fa). Una decina di anni fa, su quel terreno acquistato dal padre nel punto più a nord del comune di Fiumicino, vicino a Cerveteri e fino ad allora coltivato con colture estensive, decide che qualcosa doveva cambiare. Rimboccandosi le maniche, scendendo dalla sedie per salire sul trattore. Insolito, raro, impensabile per uno della Roma bene. Ma è così che nasce Solis Terrae. Volevo fare qualcosa di diverso per una migliore riconoscibilità. Così, nel 2012/2013 ho impiantato 5 ettari di vigneto che mi hanno cambiato la vita. Sia per gli impegni nel campo che fuori. La volontà di una coltivazione diversa. Andando oltre i seminativi. Che potesse durare nel tempo. Come a voler lasciare qualcosa di tangibile. Oltre l’essere commercialista (che se vogliamo produce qualcosa che si tende invece a voler dimenticare). La vite che ogni anno si rigenera, poi muore, poi ridà i frutti, è qualcosa di affascinante. Massimo, il commercialista serio e pacato che dal 1998 gestisce il proprio ben avviato studio, pur non sapendo nulla di terra, enologia, viticoltura, decide che era arrivato il momento di fare, anche qualcos’altro. Il vignaiolo. Una passione che arriva dal terreno comprato dal papà nel 1982 per investimento. Poi abbiamo costruito la casa e la cantina. Adesso, tutti i fine settimana si va in cantina. Stavolta me lo immagino davvero Massimo che tra una dichiarazione IVA ed un bilancio da redigere pensa solo a quando potrà finalmente guidare il trattore o a fare le potature.
Un sognatore certamente ma con tanta testa.
Da un lato il commercialista che fa i conti per rendere la sua attività sostenibile. Dall’altro il vignaiolo che pensa come la sua agricoltura debba essere sostenibile e senza uso di chimica adottando il protocollo biologico pur senza essere certificato. Ci tengo che venga fatto nel modo più sostenibile possibile. Il concime naturale mi viene da amici che hanno gli allevamenti attorno alle terre. Facciamo un pò di baratto: concime naturale per il vino. Ho un dipendente ma in vigna ci sono anche io. Ho un enologo, non di grido, ma che la pensa come me: agricoltura sostenibile e vini non ruffiani. Come piacciono a noi. Ma ce lo vedete Massimo che baratta letame per vino? La scena è davvero esilarante a tal punto che quando me la racconta gli scappa da ridere facendo emergere un lato del suo carattere sempre un pò sopito. Anche i commercialisti ridono insomma. Mi sa che prima o poi dobbiamo fare una serata insieme con un elevato tasso alcolico. Se ne vedrebbero delle belle. In ogni modo, tornando a noi, impatto di solfiti molto basso. Lieviti naturali. Lavorazioni basiche e di poco impatto. Sempre tenendo conto che il tempo dedicato alla vigna non può essere totale. Anche se certamente abbastanza rilevante. Corro dall’azienda a Roma come un pazzo. Tre quattro giorni a settimana completamente. Ah Massimo Massimo. Sono certo che se potesse dedicarsi totalmente alla vigna, non ci penserebbe due volte. Ma poi, l’anima del commercialista, l’indole che lo porta a fare conti, bilanci e business plan, non prevale, ma si fa avanti e gli dice che non è possibile. Non lo è ancora. Economicamente non risulta possibile. Si siamo a breakeven, ma a fatica. Guadagno zero. Non si riesce ad avere una linea commerciale valida. Fatica ancora a prendere forma. Le bottiglie vendute non sono ancora in numero soddisfacente per avere una redditività. Ventimila le bottiglie prodotte e vendute su una potenzialità di cinquantamila. Ma non è possibile commercialmente. Così l’uva in eccesso, la vendo. Marco Sargentini mi sta aiutando per la promozione. Ai 5 ettari vitati si affiancano i 15 seminativi con colture che si susseguono in base alla stagione. Broccoletti, grano, girasole. Dai quali si ricava quel che si può. L’investimento della cantina con attrezzature e macchinari non c’è ancora. La vinificazione è conto terzi perché non ci sono ancora i volumi. Siamo a Roma e la DOC creata nel 2011 è un valore. Un modo per dare un nome universale e senza tempo a vini che altrimenti sarebbero ingiustamente relegati a vinelli da osteria. Roma e i suoi vini paga lo scotto di anni di pellegrinaggio, di pasti a basso costo e di vini annacquati. Invece c’è tanto da scoprire intorno alla Città Eterna. Tanti imprenditori seri, vitigni pazzeschi, terreni che vanno dal vulcanico al sabbioso. Tanto tanto tanto! Cinque le etichette Solis Terrae due delle quali nella Roma DOC: Bianco Bellone e Rosso Montepulciano/Syrah. A questi si aggiungono tre IGP: Biancovero (blend di Vermentino e Viognier), Syrah in purezza, Goccia Ambrata (Vermentino con vendemmia tardiva).
Massimo li ama tutti. Uno per uno. Come se fossero cinque suoi figli. Senza preferenze. Senza propendere per l’uno o per l’altro. I vitigni sono stati scelti con l’agronomo in base a quelli che erano vini che a me piacevano. Poi si è scontrato con il territorio. A me intrigava il Cesanese ma l’agronomo me lo sconsigliò per la vicinanza del mare. C’è stato un compromesso. Sulla realizzazione dei vini è una sintonia con l’enologo per andare a centrare la mia richiesta. Così, scegliamo insieme. Ciò che richiedo è un impatto di solforosa il più basso possibile tanto che sono sotto il bio. Poi detto secondo i miei gusti. Scegliere i vitigni della Roma DOC diventa quasi obbligatorio in queste zone. Supportare gli investimenti con un nome altisonante è una opportunità che solo i folli non colgono. Massimo non è un folle ma un commercialista. Di quelli che i conti li fanno e se li fanno. Nel futuro della vigna non ci sono sviluppi diversi da questi. Si vuole rafforzare. Migliorare ma non cambiare è l’obiettivo. Ho avuto modo di recensire il Bellone Solis Terrae sul mio canale Instagram e l’ho trovato un ottimo prodotto. Costo contenuto e alto valore. Non un vino piacione ma qualcosa che si adatta bene dalla patatina dell’aperitivo, ad un primo di pesce, ad una grigliata mista (di pesce). Ben fatto davvero! Il futuro di questa azienda sarà nel solco di quanto fino ad oggi è stato creato. Continuità verso una maggiore sostenibilità. Massimo sa bene che se vuole qualcosa che duri nel tempo e sopravviva anche a lui, ha bisogno di questo. Sostenibilità. Non è qualcosa da commercialista ma da chi ha testa e non solo cuore. Il lavoro del vignaiolo è certamente cuore, tanto cuore. Ma senza testa, senza attenzione ai numeri, si fa presto a non sopravvivere in un mondo sempre più complesso.
Non bastano però i numeri. Serve molto altro e Massimo lo sa. Lo ha intuito da tempo. La sostenibilità ambientale, il rispetto dei cicli naturali, l’assenza di chimica, non sono solo slogan ma cardini per rendere la sua terra prospera e duratura. Sostenibilità legata all’aspetto commerciale, al marketing, alle nuove etichette, al sito internet. Tutto è utile, anzi necessario, per rendere il sogno, il progetto, qualcosa di duraturo. L’attività di commercialista mi fa rendere conto del passo che giornalmente posso e devo effettuare. Le conoscenze economiche mi permettono di capire bene circa gli investimenti. Se farlo ad esempio. Mai il passo più lungo della gamba. È una forma mentis proiettata sulla quadratura dei conti. Questa la parte razionale di Massimo. Il suo essere “quadrato” e centrato sulla realtà. Il suo sorriso appena accennato è li, dietro lo schermo forse creato per la sua professione. Schermo che cade miseramente in vigna dove può essere solo ed esclusivamente Massimo. La persona, l’uomo che si meraviglia al semplice osservare il ciclo della vite. Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969
Leggi
Eppure il titolo era azzeccato poiché, alzi la mano chi pensa che i commercialisti, l’anima l’abbiano davvero. Dinanzi a numeri e tasse (da far pagare) non ci può essere alcuna anima. Ne tantomeno empatia o animo gentile. Puoi però trovarti di fronte una persona come Massimo Caucci, commercialista di professione, con l’aplomb del commercialista, con il linguaggio del commercialista, con lo studio da commercialista. Ma con un amore viscerale per la terra e la vigna. Le cose non nascono per caso. O forse è il caso che le genera.
Se abiti a Roma e hai un papà che per puro investimento acquista tanti ma tanti anni fa 20 ettari di terreno tra l’aeroporto di Fiumicino ed il mare, hai tutto il diritto di fregartene. Roma è una città particolare, dove si vive il quartiere e dove se sei di buona famiglia, non ti resta che vivere nei quartieri giusti tipo Roma nord frequentando solo le persone che i tuoi genitori ritengono giuste. Papà è mancato anni fa e da li è stato un susseguirsi di fatti. Ha creato la partenza però poi non ha inciso. Massimo è un commercialista con l’animo diverso. Non so come fosse da giovane, ma non me lo immagino a far la vita da pariolino che va al Gilda o al Piper (per chi non lo sapesse due delle discoteche più in voga a Roma anni fa). Una decina di anni fa, su quel terreno acquistato dal padre nel punto più a nord del comune di Fiumicino, vicino a Cerveteri e fino ad allora coltivato con colture estensive, decide che qualcosa doveva cambiare. Rimboccandosi le maniche, scendendo dalla sedie per salire sul trattore. Insolito, raro, impensabile per uno della Roma bene. Ma è così che nasce Solis Terrae. Volevo fare qualcosa di diverso per una migliore riconoscibilità. Così, nel 2012/2013 ho impiantato 5 ettari di vigneto che mi hanno cambiato la vita. Sia per gli impegni nel campo che fuori. La volontà di una coltivazione diversa. Andando oltre i seminativi. Che potesse durare nel tempo. Come a voler lasciare qualcosa di tangibile. Oltre l’essere commercialista (che se vogliamo produce qualcosa che si tende invece a voler dimenticare). La vite che ogni anno si rigenera, poi muore, poi ridà i frutti, è qualcosa di affascinante. Massimo, il commercialista serio e pacato che dal 1998 gestisce il proprio ben avviato studio, pur non sapendo nulla di terra, enologia, viticoltura, decide che era arrivato il momento di fare, anche qualcos’altro. Il vignaiolo. Una passione che arriva dal terreno comprato dal papà nel 1982 per investimento. Poi abbiamo costruito la casa e la cantina. Adesso, tutti i fine settimana si va in cantina. Stavolta me lo immagino davvero Massimo che tra una dichiarazione IVA ed un bilancio da redigere pensa solo a quando potrà finalmente guidare il trattore o a fare le potature.
Un sognatore certamente ma con tanta testa.
Da un lato il commercialista che fa i conti per rendere la sua attività sostenibile. Dall’altro il vignaiolo che pensa come la sua agricoltura debba essere sostenibile e senza uso di chimica adottando il protocollo biologico pur senza essere certificato. Ci tengo che venga fatto nel modo più sostenibile possibile. Il concime naturale mi viene da amici che hanno gli allevamenti attorno alle terre. Facciamo un pò di baratto: concime naturale per il vino. Ho un dipendente ma in vigna ci sono anche io. Ho un enologo, non di grido, ma che la pensa come me: agricoltura sostenibile e vini non ruffiani. Come piacciono a noi. Ma ce lo vedete Massimo che baratta letame per vino? La scena è davvero esilarante a tal punto che quando me la racconta gli scappa da ridere facendo emergere un lato del suo carattere sempre un pò sopito. Anche i commercialisti ridono insomma. Mi sa che prima o poi dobbiamo fare una serata insieme con un elevato tasso alcolico. Se ne vedrebbero delle belle. In ogni modo, tornando a noi, impatto di solfiti molto basso. Lieviti naturali. Lavorazioni basiche e di poco impatto. Sempre tenendo conto che il tempo dedicato alla vigna non può essere totale. Anche se certamente abbastanza rilevante. Corro dall’azienda a Roma come un pazzo. Tre quattro giorni a settimana completamente. Ah Massimo Massimo. Sono certo che se potesse dedicarsi totalmente alla vigna, non ci penserebbe due volte. Ma poi, l’anima del commercialista, l’indole che lo porta a fare conti, bilanci e business plan, non prevale, ma si fa avanti e gli dice che non è possibile. Non lo è ancora. Economicamente non risulta possibile. Si siamo a breakeven, ma a fatica. Guadagno zero. Non si riesce ad avere una linea commerciale valida. Fatica ancora a prendere forma. Le bottiglie vendute non sono ancora in numero soddisfacente per avere una redditività. Ventimila le bottiglie prodotte e vendute su una potenzialità di cinquantamila. Ma non è possibile commercialmente. Così l’uva in eccesso, la vendo. Marco Sargentini mi sta aiutando per la promozione. Ai 5 ettari vitati si affiancano i 15 seminativi con colture che si susseguono in base alla stagione. Broccoletti, grano, girasole. Dai quali si ricava quel che si può. L’investimento della cantina con attrezzature e macchinari non c’è ancora. La vinificazione è conto terzi perché non ci sono ancora i volumi. Siamo a Roma e la DOC creata nel 2011 è un valore. Un modo per dare un nome universale e senza tempo a vini che altrimenti sarebbero ingiustamente relegati a vinelli da osteria. Roma e i suoi vini paga lo scotto di anni di pellegrinaggio, di pasti a basso costo e di vini annacquati. Invece c’è tanto da scoprire intorno alla Città Eterna. Tanti imprenditori seri, vitigni pazzeschi, terreni che vanno dal vulcanico al sabbioso. Tanto tanto tanto! Cinque le etichette Solis Terrae due delle quali nella Roma DOC: Bianco Bellone e Rosso Montepulciano/Syrah. A questi si aggiungono tre IGP: Biancovero (blend di Vermentino e Viognier), Syrah in purezza, Goccia Ambrata (Vermentino con vendemmia tardiva).
Massimo li ama tutti. Uno per uno. Come se fossero cinque suoi figli. Senza preferenze. Senza propendere per l’uno o per l’altro. I vitigni sono stati scelti con l’agronomo in base a quelli che erano vini che a me piacevano. Poi si è scontrato con il territorio. A me intrigava il Cesanese ma l’agronomo me lo sconsigliò per la vicinanza del mare. C’è stato un compromesso. Sulla realizzazione dei vini è una sintonia con l’enologo per andare a centrare la mia richiesta. Così, scegliamo insieme. Ciò che richiedo è un impatto di solforosa il più basso possibile tanto che sono sotto il bio. Poi detto secondo i miei gusti. Scegliere i vitigni della Roma DOC diventa quasi obbligatorio in queste zone. Supportare gli investimenti con un nome altisonante è una opportunità che solo i folli non colgono. Massimo non è un folle ma un commercialista. Di quelli che i conti li fanno e se li fanno. Nel futuro della vigna non ci sono sviluppi diversi da questi. Si vuole rafforzare. Migliorare ma non cambiare è l’obiettivo. Ho avuto modo di recensire il Bellone Solis Terrae sul mio canale Instagram e l’ho trovato un ottimo prodotto. Costo contenuto e alto valore. Non un vino piacione ma qualcosa che si adatta bene dalla patatina dell’aperitivo, ad un primo di pesce, ad una grigliata mista (di pesce). Ben fatto davvero! Il futuro di questa azienda sarà nel solco di quanto fino ad oggi è stato creato. Continuità verso una maggiore sostenibilità. Massimo sa bene che se vuole qualcosa che duri nel tempo e sopravviva anche a lui, ha bisogno di questo. Sostenibilità. Non è qualcosa da commercialista ma da chi ha testa e non solo cuore. Il lavoro del vignaiolo è certamente cuore, tanto cuore. Ma senza testa, senza attenzione ai numeri, si fa presto a non sopravvivere in un mondo sempre più complesso.
Non bastano però i numeri. Serve molto altro e Massimo lo sa. Lo ha intuito da tempo. La sostenibilità ambientale, il rispetto dei cicli naturali, l’assenza di chimica, non sono solo slogan ma cardini per rendere la sua terra prospera e duratura. Sostenibilità legata all’aspetto commerciale, al marketing, alle nuove etichette, al sito internet. Tutto è utile, anzi necessario, per rendere il sogno, il progetto, qualcosa di duraturo. L’attività di commercialista mi fa rendere conto del passo che giornalmente posso e devo effettuare. Le conoscenze economiche mi permettono di capire bene circa gli investimenti. Se farlo ad esempio. Mai il passo più lungo della gamba. È una forma mentis proiettata sulla quadratura dei conti. Questa la parte razionale di Massimo. Il suo essere “quadrato” e centrato sulla realtà. Il suo sorriso appena accennato è li, dietro lo schermo forse creato per la sua professione. Schermo che cade miseramente in vigna dove può essere solo ed esclusivamente Massimo. La persona, l’uomo che si meraviglia al semplice osservare il ciclo della vite. Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969
15 Novembre, 2023
Tenuta Ponziani. Cieca è la passione, folle la vita
“L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Ma è anche vero che se gli occhi non vedono, è difficile cogliere qualunque sfumatura di colore.
È un difetto?
Quando vediamo qualcosa, i nostri occhi ne traggono giovamento. Il bello ad esempio. Vedendo qualcosa di bello come un panorama, il nostro cuore inizia a battere. L’entusiasmo ci pervade travolti dall’emozione di aver visto una cosa così bella.
Vedendo un tramonto al mare con al fianco la persona che si ama, veniamo rapiti da quel meraviglioso momento. I colori, le venature del cielo che si incastonano nell’azzurro che diventa di un blu sempre più scuro e intenso. Ciò che vediamo è così intenso che può capitare di dimenticarsi di quanto ci è intorno. Persona amata compresa (così che non è insolito beccarsi il rimbrotto “a cosa stai pensando?” “mi sembri distante”).
Gli occhi rapiscono il nostro cuore poiché hanno una potenza immensa e al tempo stesso rapiscono tutto noi stessi. Divorano ogni cosa che tenta di emergere. Come gli altri sensi.
L’udito, l’olfatto, il tatto, il gusto. Tutti vengono sopraffatti da ciò che i nostri occhi vedono. Siamo in trans, rapiti da ciò che vediamo. Troppo impegnati per curarci del resto.
Le persone che non posseggono la vista devono invece curare gli altri sensi così da svilupparli maggiormente tanto che, completando la frase di De Saint-Exupery: “..non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Sono stato invitato a vivere una Passione Cieca presso la Tenuta Ponziani, ad Orvieto, degustazione di quattro vini completamente bendato. Una esperienza che è stata utile per guardare qualcosa non solo con gli occhi. Siamo a circa 500 metri sul livello del mare. La Tenuta Ponziani è stata completamente ristrutturata dalla follia di una donna, Rossana Ponziani, che ha fortemente voluto questo luogo non già come vezzo quanto invece per tornare indietro nel tempo e riabbracciare la sua memoria. La terra. Gli odori dei nonni. Il sapore dei piatti cucinati e della frutta raccolta dagli alberi.
Le nostre origini sono nella terra e la nostra memoria, per chi ha la fortuna di aver vissuto una infanzia non contaminata, non può che avere, anche se in angoli nascosti, ricordo di quelle sensazioni. Spesso si dimentica tutto. Per tanti motivi, nessuno dei quali valido. Ogni giorno ci lasciamo andare sempre più lontani per poi, ogni tanto, ricordarci da dove veniamo. Basta magari un odore, una parola udita, una inflessione, un gesto, un colore. Basta davvero poco perché qualcosa riaffiori.
Non per ritrovare ma per far riemergere e tenere vive le emozioni di un tempo e proprie di un territorio pazzesco e meraviglioso. Restituire genuinità e dignità ai prodotti della terra e farli vivere a chi è in grado di aprire il proprio scrigno dei ricordi. Così Rossana ha iniziato questa avventura. I nostri vini sono fatti in vigna. Insistono su un territorio fortunato che ha delle peculiarità che li rendono gradevoli. Per noi che facciamo questi sforzi è una strada verso il miglioramento. Ho impiantato un frutteto perché i succhi di frutta non mi piacciono. Meglio i frullati. Animali di piccola taglia. Coltivazioni. Insomma, tutto vuole raccontare il territorio pazzesco e meraviglioso. È un cammino da far percorrere insieme a chi vuole tornare a vivere emozioni come la bellezza, memoria, amore. Temi che sembrano oggi banali perché il bello si ricerca attraverso il finto; la memoria la dimentichiamo; l’amore è qualcosa di lontano dal concetto vero di amore. Una avventura che Rossana gestisce avvalendosi di fidati collaboratori come Andrea, l’agronomo e Roberto, l’enologo. Oltre che una ulteriore schiera di persone che tengono la tenuta come fosse un giardino. Ecco, un giardino. L’impressione che si ha entrando nella tenuta dal piccolo cancello, è proprio quella di entrare in una casa attraverso il giardino. Non c’è sfarzosità o ricerca di un bello estetico. Si cerca e si trova una bellezza fatta di ordine, pulizia, minimalismo. Qualcosa della quale ce ne si innamora subito senza saperne il perché. O meglio, solo concentrandosi a capirne le motivazioni, ovvero dopo, si ha la consapevolezza.
La nostra mente dunque la memoria difficilmente trova dentro di se situazioni analoghe. Il giardino non sfarzoso, i saloni di ingresso eleganti e sobri, una piscina a sfioro non invadente, le piante medicinali che non impediscono la vista della meravigliosa valle, le vigne pulite che dolcemente accarezzano la cresta della collina. Ecco, l’atmosfera che tutto ciò crea non trova paragoni nella nostra memoria così che l’amore sboccia in maniera istintiva. Passeggiando per questi luoghi si ha la sensazione di casa. Una casa della quale tutti hanno rispetto.
Andrea parla della terra e delle coltivazioni con un sorriso di serenità che lascia trasparire l’amore per ogni zolla, per ogni pianta, per ogni animale che c’è nella tenuta. Rispettare il ciclo della vita riesce anche facile in un territorio come questo che un tempo fu mare. Come gran parte dell’Umbria (tanto che a scavare ancora si trovano fossili marini). Un terreno accarezzato dai venti che sa di minerale, venanzite, dovuta ai vulcani che si sono opposti al mare.
Non serve la chimica qui perché la natura è gentile. E pure se fosse necessaria, ci pensa Rossana a vietarla (con Andrea e Roberto più che d’accordo). La certificazione biologica è una convenzione che, al pari di quelle relative ai vini, non fa parte della filosofia aziendale. Qui quello che conta è la sostanza e la genuinità di qualunque cosa. Niente chimica ma non per convenzione insomma.
Il vigneto, vecchio di 17 anni, si estende per circa tre ettari con Grechetto, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon utili per dar vita ai 4 vini della Tenuta: Velia (blend di Grechetto e Chardonnay con affinamento in acciaio), Veitha (Chardonnay in purezza con passaggio in legno di parte della massa), Fasti (blend di Merlot e Cabernet Sauvignon con affinamento in acciaio), Northia (Merlot in purezza con affinamento in tonneau). Ecco, proprio questi quattro vini sono stati oggetto della Passione Cieca. Quattro vini, stessa filosofia di coltivazione delle viti stessa passione e amore nel trattamento. Un vino deve essere prima apprezzato per le sue colorazioni e sfumature. Poi annusato, odorato, inalato perché tutti i sentori che custodisce possano sprigionarsi e suscitare emozioni. Infine portato in bocca per assaporarne l’essenza, gustato il sapore, valutato il bilanciamento e la persistenza, apprezzata la continuità olfattiva ma, soprattuto, continuare il viaggio emozionale. Nel trovarsi dinanzi ad un calice di bianco, la nostra mente si predispone a certi odori e sapori. Il nostro sistema di catalogazione riesce, in tempi estremamente brevi, a fornire le indicazioni di quanto ci attenderà. Anticipa qualcosa. E se questo “anticipo” ci facesse perdere qualcosa? Una semplice benda mette tutto in discussione. Non sappiamo cosa abbiamo dinanzi. Non siamo in grado di capire cosa stiamo per assaggiare. Dobbiamo fare a meno di un senso per concentrarci sugli altri. Sarà compito del naso indirizzarci verso un colore, una classificazione. Senza pregiudizi. Senza avvertimenti. Come un bambino che vede per la prima volta qualcosa.
I calici sono sul tavolo e vengono riempiti quando siamo già bendati. Percepisco gli effluvi che già mi svelano il colore. Il naso fa la sua parte. Il suono prodotto dal versamento del vino nel calice mi fornisce una ulteriore indicazione. L’orecchio fa la sua parte. Non ho altro a cui appigliarmi. Rimango in attesa delle indicazioni. Il primo vino che assaggiamo è il Velia, blend di Grechetto e Chardonnay. Le note sono fresche e pungenti. La salvia appare forte ma ciò che mi da più gioia è la mineralità che arriva impetuosa per poi lasciare spazio alla bianca frutta fresca.
Verticalità e mineralità in bocca con grande freschezza. Diretto Poi il Veitha, Chardonnay in purezza con parte della massa in tonneau per pochi giorni.
Il naso percepisce un colore ambrato. Si riempie di miele e fiori di camomilla oltre all’immancabile mineralità. .
Il sorso è pieno, ampio e rotondo. Ma non come il naso si sarebbe aspettato. Ottimo bilanciamento e persistenza che si affievolisce. Raffinato. Quindi Fasti, blend di Merlot e Cabernet forte di solo acciaio.
Le note di frutta rossa croccante, sono evidenti. Mineralità spinta e petali di rosa. Avvertibile anche la nota vegetale.
In bocca la freschezza c’è tutta. Il tannino presente ma non invadente. La mineralità costante. Vivo e interessante. Infine Northia, Merlot in purezza con leggera surmaturazione e passaggio in tonneau per 12 mesi.
Un grande vino con un ampio bouquet che parte con lampone e frutta quasi sotto spirito. Fiori in potpurri, nota vegetale, mineralità, ematico, ferro, spezie dolci, erbe aromatiche.
In bocca è potente e impetuoso nonostante i suoi anni (ci svelano essere un 2018). Secco e fresco con tannini maturi e non ancora addomesticati. Rotondo ma poi spigoloso. Impetuoso. Le note di una musica soave accompagnano la degustazione guidata da un sommelier che invoglia gli ospiti nel cercare dentro di se le sensazioni. Ho fatto decine di degustazioni con colleghi sommelier anche più esperti di me e la condivisione delle proprie emozioni e sensazioni è quanto di più bello possa esserci. Far vivere agli altri ciò che si vive e si è vissuto è un modo di aprirsi, di condividere, di suscitare emozioni similari.
Non mi vedevo, non vedevo gli altri ospiti, non sapevo delle loro espressioni. Sentivo la loro voce anche se il mio mondo era il calice, gli effluvi, il sapore, le emozioni.
Devo essere sincero, bendati, ogni differente sensazione ha acquisito un valore ed un peso diverso. Maggiore. Si, maggiore. Cosa dire dei vini della Tenuta Ponziani. Anzitutto il filo conduttore. Spesso i vini di una azienda sono sconnessi l’un l’altro. Come se non ci fosse una impronta. Quel qualcosa che rappresenta il territorio o il “creatore”. La presenza costante. In questo caso invece, c’è qualcosa che esalta ed identifica la provenienza dallo stesso vigneto. Anzi, lo sesso giardino. La matrice vulcanica e la venanzite è ciò che cammina da un vino all’altro apparendo al naso come mineralità quasi di torba e in bocca con spiccata sapidità. Arriva marcata nel Velia, si affievolisce nel Veitha, ritorna nel Fasti, si affievolisce nel Northia. Un saliscendi che al naso segue un percorso leggermente diverso ma comunque sempre altalenante. La sequenza di degustazione ha esaltato odori e sapori dei vini in un sapiente crescendo di struttura e complessità.
Ho apprezzato il Velia per la sua verticalità e la forte presenza olfattiva della salvia. Ho scoperto il Veitha per gli aromi di torba sprigionati. Ho stimato il Fasti per la schiettezza. Ho amato infine il Northia per la sua grande complessità ed eleganza. Tenuta Ponziani, un giardino in un territorio fuori dal comune.
Rossana Ponziani, una donna di classe lucidamente folle. La passione è tutta qui. Che sia cieca o meno, poco importa. Ciò che importa è solo la follia. Che è vita Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969
Leggi
È un difetto?
Quando vediamo qualcosa, i nostri occhi ne traggono giovamento. Il bello ad esempio. Vedendo qualcosa di bello come un panorama, il nostro cuore inizia a battere. L’entusiasmo ci pervade travolti dall’emozione di aver visto una cosa così bella.
Vedendo un tramonto al mare con al fianco la persona che si ama, veniamo rapiti da quel meraviglioso momento. I colori, le venature del cielo che si incastonano nell’azzurro che diventa di un blu sempre più scuro e intenso. Ciò che vediamo è così intenso che può capitare di dimenticarsi di quanto ci è intorno. Persona amata compresa (così che non è insolito beccarsi il rimbrotto “a cosa stai pensando?” “mi sembri distante”).
Gli occhi rapiscono il nostro cuore poiché hanno una potenza immensa e al tempo stesso rapiscono tutto noi stessi. Divorano ogni cosa che tenta di emergere. Come gli altri sensi.
L’udito, l’olfatto, il tatto, il gusto. Tutti vengono sopraffatti da ciò che i nostri occhi vedono. Siamo in trans, rapiti da ciò che vediamo. Troppo impegnati per curarci del resto.
Le persone che non posseggono la vista devono invece curare gli altri sensi così da svilupparli maggiormente tanto che, completando la frase di De Saint-Exupery: “..non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Sono stato invitato a vivere una Passione Cieca presso la Tenuta Ponziani, ad Orvieto, degustazione di quattro vini completamente bendato. Una esperienza che è stata utile per guardare qualcosa non solo con gli occhi. Siamo a circa 500 metri sul livello del mare. La Tenuta Ponziani è stata completamente ristrutturata dalla follia di una donna, Rossana Ponziani, che ha fortemente voluto questo luogo non già come vezzo quanto invece per tornare indietro nel tempo e riabbracciare la sua memoria. La terra. Gli odori dei nonni. Il sapore dei piatti cucinati e della frutta raccolta dagli alberi.
Le nostre origini sono nella terra e la nostra memoria, per chi ha la fortuna di aver vissuto una infanzia non contaminata, non può che avere, anche se in angoli nascosti, ricordo di quelle sensazioni. Spesso si dimentica tutto. Per tanti motivi, nessuno dei quali valido. Ogni giorno ci lasciamo andare sempre più lontani per poi, ogni tanto, ricordarci da dove veniamo. Basta magari un odore, una parola udita, una inflessione, un gesto, un colore. Basta davvero poco perché qualcosa riaffiori.
Non per ritrovare ma per far riemergere e tenere vive le emozioni di un tempo e proprie di un territorio pazzesco e meraviglioso. Restituire genuinità e dignità ai prodotti della terra e farli vivere a chi è in grado di aprire il proprio scrigno dei ricordi. Così Rossana ha iniziato questa avventura. I nostri vini sono fatti in vigna. Insistono su un territorio fortunato che ha delle peculiarità che li rendono gradevoli. Per noi che facciamo questi sforzi è una strada verso il miglioramento. Ho impiantato un frutteto perché i succhi di frutta non mi piacciono. Meglio i frullati. Animali di piccola taglia. Coltivazioni. Insomma, tutto vuole raccontare il territorio pazzesco e meraviglioso. È un cammino da far percorrere insieme a chi vuole tornare a vivere emozioni come la bellezza, memoria, amore. Temi che sembrano oggi banali perché il bello si ricerca attraverso il finto; la memoria la dimentichiamo; l’amore è qualcosa di lontano dal concetto vero di amore. Una avventura che Rossana gestisce avvalendosi di fidati collaboratori come Andrea, l’agronomo e Roberto, l’enologo. Oltre che una ulteriore schiera di persone che tengono la tenuta come fosse un giardino. Ecco, un giardino. L’impressione che si ha entrando nella tenuta dal piccolo cancello, è proprio quella di entrare in una casa attraverso il giardino. Non c’è sfarzosità o ricerca di un bello estetico. Si cerca e si trova una bellezza fatta di ordine, pulizia, minimalismo. Qualcosa della quale ce ne si innamora subito senza saperne il perché. O meglio, solo concentrandosi a capirne le motivazioni, ovvero dopo, si ha la consapevolezza.
La nostra mente dunque la memoria difficilmente trova dentro di se situazioni analoghe. Il giardino non sfarzoso, i saloni di ingresso eleganti e sobri, una piscina a sfioro non invadente, le piante medicinali che non impediscono la vista della meravigliosa valle, le vigne pulite che dolcemente accarezzano la cresta della collina. Ecco, l’atmosfera che tutto ciò crea non trova paragoni nella nostra memoria così che l’amore sboccia in maniera istintiva. Passeggiando per questi luoghi si ha la sensazione di casa. Una casa della quale tutti hanno rispetto.
Andrea parla della terra e delle coltivazioni con un sorriso di serenità che lascia trasparire l’amore per ogni zolla, per ogni pianta, per ogni animale che c’è nella tenuta. Rispettare il ciclo della vita riesce anche facile in un territorio come questo che un tempo fu mare. Come gran parte dell’Umbria (tanto che a scavare ancora si trovano fossili marini). Un terreno accarezzato dai venti che sa di minerale, venanzite, dovuta ai vulcani che si sono opposti al mare.
Non serve la chimica qui perché la natura è gentile. E pure se fosse necessaria, ci pensa Rossana a vietarla (con Andrea e Roberto più che d’accordo). La certificazione biologica è una convenzione che, al pari di quelle relative ai vini, non fa parte della filosofia aziendale. Qui quello che conta è la sostanza e la genuinità di qualunque cosa. Niente chimica ma non per convenzione insomma.
Il vigneto, vecchio di 17 anni, si estende per circa tre ettari con Grechetto, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon utili per dar vita ai 4 vini della Tenuta: Velia (blend di Grechetto e Chardonnay con affinamento in acciaio), Veitha (Chardonnay in purezza con passaggio in legno di parte della massa), Fasti (blend di Merlot e Cabernet Sauvignon con affinamento in acciaio), Northia (Merlot in purezza con affinamento in tonneau). Ecco, proprio questi quattro vini sono stati oggetto della Passione Cieca. Quattro vini, stessa filosofia di coltivazione delle viti stessa passione e amore nel trattamento. Un vino deve essere prima apprezzato per le sue colorazioni e sfumature. Poi annusato, odorato, inalato perché tutti i sentori che custodisce possano sprigionarsi e suscitare emozioni. Infine portato in bocca per assaporarne l’essenza, gustato il sapore, valutato il bilanciamento e la persistenza, apprezzata la continuità olfattiva ma, soprattuto, continuare il viaggio emozionale. Nel trovarsi dinanzi ad un calice di bianco, la nostra mente si predispone a certi odori e sapori. Il nostro sistema di catalogazione riesce, in tempi estremamente brevi, a fornire le indicazioni di quanto ci attenderà. Anticipa qualcosa. E se questo “anticipo” ci facesse perdere qualcosa? Una semplice benda mette tutto in discussione. Non sappiamo cosa abbiamo dinanzi. Non siamo in grado di capire cosa stiamo per assaggiare. Dobbiamo fare a meno di un senso per concentrarci sugli altri. Sarà compito del naso indirizzarci verso un colore, una classificazione. Senza pregiudizi. Senza avvertimenti. Come un bambino che vede per la prima volta qualcosa.
I calici sono sul tavolo e vengono riempiti quando siamo già bendati. Percepisco gli effluvi che già mi svelano il colore. Il naso fa la sua parte. Il suono prodotto dal versamento del vino nel calice mi fornisce una ulteriore indicazione. L’orecchio fa la sua parte. Non ho altro a cui appigliarmi. Rimango in attesa delle indicazioni. Il primo vino che assaggiamo è il Velia, blend di Grechetto e Chardonnay. Le note sono fresche e pungenti. La salvia appare forte ma ciò che mi da più gioia è la mineralità che arriva impetuosa per poi lasciare spazio alla bianca frutta fresca.
Verticalità e mineralità in bocca con grande freschezza. Diretto Poi il Veitha, Chardonnay in purezza con parte della massa in tonneau per pochi giorni.
Il naso percepisce un colore ambrato. Si riempie di miele e fiori di camomilla oltre all’immancabile mineralità. .
Il sorso è pieno, ampio e rotondo. Ma non come il naso si sarebbe aspettato. Ottimo bilanciamento e persistenza che si affievolisce. Raffinato. Quindi Fasti, blend di Merlot e Cabernet forte di solo acciaio.
Le note di frutta rossa croccante, sono evidenti. Mineralità spinta e petali di rosa. Avvertibile anche la nota vegetale.
In bocca la freschezza c’è tutta. Il tannino presente ma non invadente. La mineralità costante. Vivo e interessante. Infine Northia, Merlot in purezza con leggera surmaturazione e passaggio in tonneau per 12 mesi.
Un grande vino con un ampio bouquet che parte con lampone e frutta quasi sotto spirito. Fiori in potpurri, nota vegetale, mineralità, ematico, ferro, spezie dolci, erbe aromatiche.
In bocca è potente e impetuoso nonostante i suoi anni (ci svelano essere un 2018). Secco e fresco con tannini maturi e non ancora addomesticati. Rotondo ma poi spigoloso. Impetuoso. Le note di una musica soave accompagnano la degustazione guidata da un sommelier che invoglia gli ospiti nel cercare dentro di se le sensazioni. Ho fatto decine di degustazioni con colleghi sommelier anche più esperti di me e la condivisione delle proprie emozioni e sensazioni è quanto di più bello possa esserci. Far vivere agli altri ciò che si vive e si è vissuto è un modo di aprirsi, di condividere, di suscitare emozioni similari.
Non mi vedevo, non vedevo gli altri ospiti, non sapevo delle loro espressioni. Sentivo la loro voce anche se il mio mondo era il calice, gli effluvi, il sapore, le emozioni.
Devo essere sincero, bendati, ogni differente sensazione ha acquisito un valore ed un peso diverso. Maggiore. Si, maggiore. Cosa dire dei vini della Tenuta Ponziani. Anzitutto il filo conduttore. Spesso i vini di una azienda sono sconnessi l’un l’altro. Come se non ci fosse una impronta. Quel qualcosa che rappresenta il territorio o il “creatore”. La presenza costante. In questo caso invece, c’è qualcosa che esalta ed identifica la provenienza dallo stesso vigneto. Anzi, lo sesso giardino. La matrice vulcanica e la venanzite è ciò che cammina da un vino all’altro apparendo al naso come mineralità quasi di torba e in bocca con spiccata sapidità. Arriva marcata nel Velia, si affievolisce nel Veitha, ritorna nel Fasti, si affievolisce nel Northia. Un saliscendi che al naso segue un percorso leggermente diverso ma comunque sempre altalenante. La sequenza di degustazione ha esaltato odori e sapori dei vini in un sapiente crescendo di struttura e complessità.
Ho apprezzato il Velia per la sua verticalità e la forte presenza olfattiva della salvia. Ho scoperto il Veitha per gli aromi di torba sprigionati. Ho stimato il Fasti per la schiettezza. Ho amato infine il Northia per la sua grande complessità ed eleganza. Tenuta Ponziani, un giardino in un territorio fuori dal comune.
Rossana Ponziani, una donna di classe lucidamente folle. La passione è tutta qui. Che sia cieca o meno, poco importa. Ciò che importa è solo la follia. Che è vita Ivan Vellucci Mi trovi su instagram : @ivan_1969
11 Novembre, 2023
Casa alle Vacche: tradizione familiare, qualità e accoglienza nel cuore della Toscana
Casa alle Vacche: tradizione familiare, qualità e accoglienza nel cuore della Toscana
Oggi vi racconto di una scoperta che ho fatto ormai alcuni anni fa, ma che con piacere ritrovo sempre nel mio percorso di degustazioni e segnalazioni per chi vuole qualità dei prodotti e una buona dritta per le vacanze, da tenere sempre in considerazione: vi parlo oggi di Casa alle Vacche.
Siamo un uno dei punti focali della produzione vinicola Toscana, in particolare a San Gimignano, zona ad altissima vocazione produttiva e nota per la famosa per la Vernaccia e non solo.
Ci troviamo nello spettacolare scenario che offre la campagna toscana, una azienda che segue la tradizione vinicola familiare da generazioni, fatta di passione e particolare attenzione al territorio. Da generazioni è infatti la famiglia Ciappi a seguire con amore e passione tutte le fasi produttive di vino e olio, facendo nascere anche circa vent’anni l’attività agrituristica con l’idea di far godere le bellezze del territorio ad ospiti provenienti da ogni dove. Qualche tempo fa ho avuto il piacere e l’onore di incontrare Andrea Ciappi a Roma che rappresenta la nuova generazione dell’azienda impersonandone a pieno la filosofia.
Il particolare nome dell’azienda deriva dal fatto che nell’800 l’area dove oggi sorge ed in particolare l’edificio più antico, erano adibiti a stalle per le vacche che venivano utilizzate per il traino dei carri ed il lavoro nei campi. Il nome oltre a ricordare la storia del territorio vuole anche evocare la semplicità, la genuinità, la fatica ed il duro lavoro di una famiglia di viticoltori, valori che tutti noi dobbiamo tenere a mente quando degustiamo vini e talvolta li giudichiamo.
Perché mi piacciono i loro vini? Perché sono ricchi di vita, di slancio, di integrità del frutto, dotati di freschezza e giusta armonia. Ma questa è solo una considerazione di carattere generale dopo aver degustato diverse annate, l’azienda ha infatti una produzione molto variegata che va da i classici della tradizione del territorio fino ad alcune chicche particolari.
Tre le versioni di Vernaccia di san Gimignano DOCG, disponibile nella versione base, “I Macchioni” e la Riserva “Crocus” che segue una fermentazione controllata in barili nuovi con continui “batonnage” e un affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi.
Altro vino di grande struttura e tradizione è Chianti Colli Senesi DOCG Riserva “Cinabro”, realizzato con Sangiovese in diverse qualità clonali e fermentazione tradizionale in rosso per almeno 20 gg. con controllo termico a 30°C. e dopo il primo travaso elevazione in barrique su fecce fini e permanenza in legno per almeno 18 mesi, con almeno 4 in bottiglia. Prodotta anche in questo caso la versione base Chianti Colli Senesi DOCG. Ulteriori rossi di grande struttura sono gli Igt “Acantho”, blend di Cabernet Sauvignon e Ciliegiolo e “Aglieno”, blend di Sangiovese, e Merlot. Prodotto anche un Igt “Merlot” in purezza molto interessante.
Negli ultimi anni l’azienda si sta focalizzando soprattutto nella ricerca di vitigni autoctoni, un “ritorno alle origini” dove le colture antiche incontrano le moderne tecnologie. Da qui derivano alcune produzioni in purezza: Canaiolo, Colorino, Sangiovese B. (vinificato in Bianco) e il Ciliegiolo.
Non mancano anche alcuni blend con l’Igt Rosso “Lorenzo” (Sangiovese, Canaiolo e Ciliegiolo), Igt Rosato “Raffy” (Canaiolo, Colorino, Ciliegiolo) e Igt Bianco “Fernando” (Vernaccia di San Gimignano, Chardonnay e altri vitigni a bacca bianca).
Ultimo arrivato il “Mater”, metodo ancestrale Sangiovese rosato, di grande vivacità, estro e piacevolezza. Chiudiamo il lungo elenco dei prodotti con il dulcis in fundo, il nettare “Vin Santo”.
Non posso far altro che consigliarvi di degustare questi vini e anche meglio andare in visita in azienda per immergervi nella tipicità e genuinità della Toscana!
A cura di Giuseppe Petronio
Mi trovi su Instagram @peppetronio
Leggi
10 Novembre, 2023
Tenuta Planisium. Innovazione, imprenditorialità, investimento
Quante volte ci lasciamo sopraffare dai luoghi comuni. Pregiudizi, consuetudini, stereotipi. Spesso sono così forti che ci troviamo, come in un romanzo giallo, ad essere convinti già dalle prime battute, di chi sia l’assassino. Per poi essere puntualmente smentiti. Nonostante ciò, i pregiudizi sono difficili a morire.
C’è addirittura la teoria del pregiudizio di conferma che identifica proprio la tendenza a cercare ciò che convalida quanto sappiamo (o presumiamo di sapere) rispetto al cercare prove che confutino le nostre verità.
Ricordo di essere stato affascinato da una scena del film Wolrld War Z nel quale il capo del Mossad, Jurgen Warmbrunn (Ludi Boeken) spiega a Gerry Lane (Brad Pitt) il metodo del decimo uomo.
Se nove di noi sono convinti che un pericolo non si manifesterà, il decimo deve trovare tutti i motivi per i quali invece quel pericolo è reale e imminente
Si ma che diavolo c’entra questo con una cantina e il vino?
Eh c’entra c’entra.
Perché se chiedessi a qualcuno come se la immagina una cantina nel sud, hai voglia a parlare di pregiudizi. Magari si potesse sempre applicare la regola del decimo uomo!
Volturino, provincia di Foggia. Poco più di 1500 abitanti a ridosso del tavoliere delle Puglie.
Fermatevi qui e pensate alla prima parola che vi viene in mente in tema di vino.
Non so cosa abbiate pensato ma so certamente cosa non avete pensato: innovazione, imprenditorialità, investimento.
Quello che ho trovato io qui, alla Tenuta Planisium è invece proprio innovazione, imprenditorialità, investimento.
Ogni cosa, ha sempre, radici nel passato più o meno remoto. Ciò che conta è l’idea. Insieme alla voglia e alla capacità non solo di creare ma, soprattutto, di strutturare. E una volta realizzato, ripartire.
Con mia moglie volevamo mettere un pezzettino di vigna vicino casa per farci una cosa artigianale. Poi abbiamo pensato, rinnoviamo i vigneti vecchi con quelli nuovi, mettiamoci con un enologo bravo e facciamo qualcosa di diverso.
Antonio Valentino è imprenditore. Costruisce strade, infrastrutture. Ha una azienda florida. Di quelle che devono operare in un territorio difficile. Costernato di problemi. Eppure viene contagiato dalla magia del vino.
Io vengo dal settore delle infrastrutture. Faccio strade, autostrade. Era anche per diversificare in quanto ho due figlie femmine e il lavoro che faccio, a me piace, ma non lo vedo adatto per loro. Se posso indirizzarle altrove, ad esempio nel mondo più nobile del vino, mi piacerebbe.
Cuore di papà. Sa che il suo è un mestiere di quelli per il quale serve non solo capacità ma anche, soprattutto direi, tanta fegato. Che non sia adatto per le donne, per le sue bimbe, forse è un pregiudizio. Ma anche un modo per proteggerle. Per dare loro un futuro più “nobile”.
La terra è quella dei genitori. Tutto nasce dalla terra e qui, in Puglia, la terra vuol dire qualcosa. Non solo radicamento nel territorio ma anche esistenza. Essenza. Il papà di Antonio produceva il vino, Nero di Troia e Susumaniello e forse, come tutti i papà di un tempo, di quelli che avevano la terra, non voleva per il suo di figlio, una vita nei campi.
La cultura del vino arriva da mio papà. Sono sempre in giro e a tavola si parla sempre di vino. Mi sono innamorato dell’Amarone.
L’Amarone! Un sogno per il sud. Proprio questo evidenza la visione di Antonio. Rappresenta non il punto di partenza ne una ambizione spropositata. Rappresenta la capacità di guardare avanti e progettare un futuro senza subirlo. Un futuro per realizzare il quale occorre partire con il piede giusto, investire, innovare. Essere imprenditori insomma.
Così è partita l’idea con mia sorella. Siamo in tre. L’azienda è intestata alle moglie di mio fratello e mia e mio nipote (figlio di mia sorella). Tutto a gestione familiare
Partire bene progettando ogni cosa. È così che Antonio inizia cercando qualcuno che di vini ne capisca veramente. Chiama Alessandro Leoni, un enologo che di esperienza ne ha parecchia e il professor Marco Esti, docente dell’Università della Tuscia.
Prima di impiantare i nuovi vigneti ho chiamato loro dicendo che avevo in mente di fare questo progetto. Il professore mi disse che gli piaceva il progetto e che ero solo in zona (la prima cantina è a 40 km). Gli dissi che volevo mettere il Primitivo qui in un territorio molto diverso da Manduria. Poi Negroamaro, Nero di Troia e Fiano. Il Fiano perché è sempre stato una vitigno che c’era qui. Siamo a ridosso della Campania e del Molise. A 10 km c’è San Bartolomeo in Cagno, primo paese della Campania e a 30 Tufaro che è il primo paese del Molise.
Tutto inizia nel 2015 con la prima vendemmia nel 2020 dopo le pratiche burocratiche e il tempo necessario per permettere alle barbatelle di crescere. Le vecchie vigne di famiglia vengono infatti espiantate.
Quelle di mio papà sono state estirpate perché vecchie e non andavano bene per quello che volevo fare io. Abbiamo iniziato nel 2015. La prima vendemmia è stata nel 2020 con le pratiche burocratiche e il regime delle piante. Oltre che del percorso bio. Le uve le vendevamo in attesa di partire.
Antonio cerca distinzione. Sa che se sei in Puglia, in un luogo dove per pregiudizio il vino è quello da taglio e la qualità non sempre eccelsa, distinguersi è una necessità. Il biologico è un modo. Ma non il solo.
La certificazione bio è importante perché volevo vedere come erano le uve. Capire il prodotto.
Il vantaggio del biologico è prima il mio che ci tengo alla cura e alla qualità. Per bere e mangiare in maniera sana. La carta non mi serve. Mi serve la qualità.
Un modo di pensare. Un modo di essere. La qualità non si apprende sui libri di scuola. Certo, te la insegnano, ma poi la devi realizzare. Con forza e sacrificio.
Io vengo dal mondo delle infrastrutture. Enologi e agronomi della zona si sono imparati a fare le cose in un solo modo. Quello è. Da fuori cercano di inserirti in altri contesti. A me è sempre piaciuto partire in un certo modo così che i risultati si vedono subito. Il professore insegna enologia e l’enologo è importante. È vero che c’è stato un costo elevato all’inizio ma i feedback che stiamo ricevendo sono tutti positivi. Come primo anno di uscita avere queste soddisfazioni non è male. Se parti male sei finito. Se parti che è buono…
Mio nonno diceva “è meglio una festa grande che cento festicciole”. Come a dire che occorre fare le cose bene, magari una volta sola, ma bene. Ritrovo questo nelle parole di Antonio. Non è necessità di non sbagliare. Semmai è voglia di non deludere prima se stesso, poi gli altri. Perché se vuoi che vada bene un progetto, occorre investire. Con grano salis.
Antonio trasla l’esperienza maturata in un settore diverso e lontano anni luce della vigna. Per fare bene le cose occorre non buttare nulla di quello che si è imparato.
Siamo partiti anche con i macchinari di un certo tipo. Se vuoi partire in un certo modo devi seguire gli enologi. Non è fanatismo ma per proiettarci verso livelli alti. Ero partito con un budget minore che abbiamo sforato. Ma per come reagisce il mercato posso dire che abbiamo fatto un ottimo investimento.
12 ettari attuali con i vigneti a 735metri sul livello del mare per i bianchi e a 450 i rossi.
Vigne nuove, enologo ed agronomo di esperienza, macchinari di ultima generazione. Mancava solo la cantina e pure quella si costruisce da zero. In maniera ecologica e biosostenibile. Mica si scherza!
Facciamolo come si deve!
Ecco, questo il motto di Antonio. Che sì, ama questa terra. Ama la cantina. Ama i suoi vini. Ma ancor di più ama la sua famiglia. Così che in azienda lavora la moglie, la cognata e la sorella. In attesa che le figlie diventino più grande. Gestendo il tutto con intelligenza e rimanendo alla giusta distanza dalle scelte.
Io sono sempre della opinione che nella casa comanda la moglie ma nella cantina comanda l’enologo. Mi sono affidato perché è giusto cosi.
Antonio è una persona mite. Di quelle che quando parlano, per la pacatezza con la quale si pone, capisci che hai dinanzi una persona che non ha bisogno di niente altro che la sua intelligenza e capacità. Non ha bisogno di dimostrare nulla. Sono i fatti che devono parlare.
Rese sotto i 60 quintali per ettaro per realizzare 6 etichette (al momento).
Due Fiano, Serritella, con affinamento in acciaio; Notamento in acciaio e barrique.
Abbiamo impiantato dei filari di Sauvignon e di Pinot bianco per il Fiano barricato.
Tre rossi: Primitivo, Montorso, con 4 mesi di barrique; Nero di Troia, Humara (6 mesi di barrique); Negramaro, Capotorre, per 8 mesi in barrique. Un rosato, Briele, da Nero di Troia (la recensione di questo sul mio blog Instagram).
Ci ho tenuto molto anche sulle grafiche. Ho affidato a Simonetta Doni di Firenze quelle per i due vini in prossima uscita e Spazio DiPaolo di Pescara le altre. Per me è un mondo nuovo dove c’è molto marketing. La grafica è importante.
Altro tassello proprio di una persona intelligente e imprenditore serio. La capacità di comprendere come il vino, la qualità, il territorio, non sia tutto. Serve la comunicazione, il marketing e gli investimenti a questo legati. Antonio si è affidato ai mostri sacri italiani in questo settore. Le etichette, quello che può sembrare banale ai più, diventa elemento di trasmissione del suo sogno.
Vorremmo arrivare a 80 mila bottiglie perché voglio un prodotto di nicchia. Il mio obiettivo è arrivare all’Amarone. Quando vado in giro assaggio e capisco quanto siamo lontani.
La visione. Questo deve avere un imprenditore. Non fermarsi a ciò che si ha ma inseguire, perseguire, un sogno. Con costanza, impegno e tanta progettualità.
All’enologo ho detto che voglio arrivare ad un livello alto. Anche se so che l’Amarone è inimitabile. Mi accontenterei però del livello.
Consapevolezza. Antonio non è un visionario. È una persona la cui esperienza lo porta ad essere con i piedi ben piantati nella terra nella quale è nato e vive. Non serve sognare. La Puglia non è il Veneto e il foggiano non è la Valpolicella. La qualità però, l’attenzione ai particolari, le scelte, il progetto. Tutto questo non possono che portare Tenuta Planisium dove Antonio sa che può arrivare.
L’enologo ci ha fatto fare un vino che avremo a dicembre con surmaturazione delle uve….vediamo come esce. Ma dobbiamo affinare le vendite e non lo vogliamo fare con i distributori. 80 mila bottiglie e un vino come l’Amarone sono i miei obiettivi. Da li ripartire.
Ripartire. Non fermarsi. Non pensare mai di essere arrivati. Ma ripartire per continuare. Per rimanere sul mercato. Per affermarsi. Senza spocchia. Senza crearsi false aspirazioni.
Innovazione, imprenditorialità, investimento. Non è un sogno. Piano piano, sarà realtà.
Ivan Vellucci
Mi trovi su instagram : @ivan_1969
Leggi